Redazione aperta – Migranti
Trieste, osservatorio sugli invisibili
“Al 6 settembre abbiamo sul territorio 3.059 migranti arrivati tramite la rotta balcanica, a fronte dei 2.104 dello stesso periodo dell’anno scorso. Le riammissioni informali sono state però tre volte quelle del 2019: in un anno ne abbiamo fatte 852, soltanto nell’ultimo periodo più di 500 a seguito di un’apposita direttiva, mentre nello stesso periodo del 2019 erano state appena 203”. La cosiddetta “rotta balcanica” e le implicazioni per l’Italia al centro del vertice convocato nelle scorse ore presso la prefettura di Trieste, con la partecipazione della ministra dell’Interno Luciana Lamorgese.
Storie spesso di “invisibili”, che restano ai margini del discorso pubblico. Migliaia infatti le persone che ogni anno attraversano il confine tra Slovenia e Italia nei boschi che circondano la città giuliana. Una migrazione costante, che lascia sul terreno tracce inequivocabili. Documenti d’identità, ma anche vestiti, accessori, biberon. Persino dei passeggini. L’Italia è per questi migranti la vera e propria porta d’Europa. La tappa di un viaggio che prosegue in genere verso altre destinazioni, per cercare faticose e complesse ripartenze lontano dal Paese d’origine.
Che può essere il Pakistan come l’Algeria, la Tunisia come il Bangladesh.
La redazione di Pagine Ebraiche, in occasione dell’ultima edizione del laboratorio Redazione aperta, ha avuto modo di confrontarsi su questi temi e di effettuare una ricognizione in questi luoghi con l’ospite più qualificato ad esprimersi: il regista Mauro Caputo, già autore di una emozionante trilogia dedicata alla vita dell’intellettuale ebreo Giorgio Pressburger, che proprio in questi giorni sta completando la lavorazione del suo nuovo documentario “No borders. Flusso di coscienza”. Girato lungo i 242 chilometri di confine tra i due Paesi, “No borders” getta uno sguardo empatico su queste esistenze precarie in cerca di futuro e stabilità. Il risultato di un anno e mezzo di costante presenza sui luoghi, per ricostruire da quegli effetti personali frettolosamente abbandonati sul terreno interi o parziali percorsi di vita. Al centro un insegnamento che, ci ha spiegato, gli arriva proprio da Pressburger. Che usava ripetergli: “Sono fiero di essere arrivato in Italia da profugo e senza una lira in tasca”.
“Per un anno e mezzo – racconta il regista – sono stato quasi ogni giorno nei boschi del Carso triestino, lungo il confine tra l’Italia e la Slovenia. Ho incontrato numerose tracce lasciate da migliaia di migranti, provenienti da luoghi lontani che non avrei mai immaginato. Mai nessun controllo. Nonostante le centinaia di sconfinamenti, di giorno, di notte, ad ogni ora sono sempre passato indisturbato. Non ho mai incontrato nessun genere di ostacoli, ma solo le tracce ed i volti degli invisibili che arrivano ogni giorno”.
Nelle prossime ore, stando alle dichiarazioni post-vertice, la situazione potrebbe repentinamente cambiare. E un controllo più stretto essere esercitato insieme da autorità italiane e slovene. L’importante, nel fare ciò, è che non si dimentichi mai che quel passaggio è compiuto da esseri umani in fuga spesso da scenari impossibili. E che tra loro, come ben documenta Caputo nel suo documentario, ci sono (diversamente da quel che una certa retorica dell’odio produce) molti bambini e persone con fragilità.
Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked
(Nell’immagine in alto, di Giovanni Montenero, il vertice triestino con la ministra Luciana Lamorgese; il regista Mauro Caputo con la redazione di Pagine Ebraiche; i vestiti e gli effetti personali lasciati dai migranti che attraversano il Carso)
(10 settembre 2020)